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Giampaolo Salvi - Il ladino atesino

N.d.A.: Riprendo qui, con modifiche e correzioni il testo del mio articolo La varietà delle parlate ladine, pubblicato nella rivista Verbum (vol. 17 [2016], pp. 218-256). Ringrazio Paul Videsott per il suo generoso aiuto.

N.d.E.: le 2 note dell'Autore all'interno del testo sono poste in calce alla Bibliografia.

1. Introduzione

Per ladino atesino intendiamo le varietà romanze parlate grosso modo nel territorio corrispondente al dominio del principe-vescovo di Brixen/Bressanone, cioè il gruppo di dialetti parlati intorno al massiccio del Sella nelle Dolomiti.

Appartengono al ladino atesino le varietà delle seguenti valli:

a) Val Badia/Gadertal con la valle laterale di Marebbe/Enneberg/Mareo, con le due varietà del marebbano (marèo) e del badiotto, a sua volta diviso nelle varietà della bassa valle (ladin) e dell’alta valle (badiòt) (esemplificheremo con le varietà di San Vigilio/Sankt Vigil/Al Plan per il marebbano e di Badia/Abtei per l’(alto) badiotto); ci riferiremo a queste varietà con il termine di gaderano;

b) Val Gardena/Gröden/Gherdëina, con il gardenese (gherdëina) (linguisticamente omogenea);

c) Val di Fassa/Val de Fascia, con il fassano (fascian), diviso nelle due varietà dell’alta valle (cazét) e della bassa valle (brach), a cui va aggiunta Moena (moenat, per cui v. sotto – esemplificheremo, a meno che non sia dichiarato esplicitamente, con la varietà cazét di Canazei/Cianacei);

d) l’alta Valle del Cordevole, con il livinallese (fodóm), nel comune di Livinallongo/Fodom (esemplifichermo con il dialetto di Arabba/Rèba).

Il dominio dei dialetti atesini non rientra tutto nel territorio brissinese, e del resto i confini politico-amministrativi non sono sempre stati gli stessi: in particolare Moena, pur essendo linguisticamente fassana, ha fatto parte della diocesi di Trento e all’inizio del XIV secolo è entrata nella Magnifica Comunità di Fiemme – faceva quindi parte del principato vescovile di Trento, e il suo ricongiungimento amministrativo con la comunità fassana è recente. Nell’alta Valle del Cordevole il versante sinistro della Val Pettorina, che faceva parte del principato vescovile di Bressanone, se ne è staccato nel XIV secolo, ma conserva un dialetto fondamentalmente atesino.

Bisogna inoltre tener conto del fatto che, dove le varietà atesine confinano con altre varietà romanze, a causa degli influssi reciproci si sono formate zone di transizione in cui le caratteristiche linguistiche tipiche degli idiomi ladini si manifestano in maniera più attenuata. Così il tipo fassano confina a Moena direttamente con il dialetto trentino della Val di Fiemme e, attraverso il Passo di San Pellegrino e il Passo Rolle, è in contatto con le varietà alto-venete dell’Agordino e del Primiero; la bassa Val di Fassa e in particolare Moena sono quindi state raggiunte da innovazioni linguistiche provenienti da sud in maniera più intensa delle zone più interne, con un certo conguaglio nelle caratteristiche dialettali e un confine linguistico meno netto (cfr. la carta delle isoglosse in Heilmann 1955). La situazione è ancora più complessa nell’alta valle del Cordevole, dove tra il livinallese e i dialetti alto-agordini troviamo una vasta fascia di transizione a cui partecipano i dialetti del versante sinistro della Val Pettorina (Rocca Pietore e Laste), quelli della Val Fiorentina (Colle Santa Lucia e Selva di Cadore) e, alla confluenza delle due valli, quelli di Caprile e di Alleghe. Nel conguaglio dialettale, favorito probabilmente da condizioni di partenza piuttosto simili, dialetti in origine diversi (atesini, agordini e cadorini) si sono avvicinati tra di loro, indipendentemente dal confine politico tra Tirolo e Repubblica di Venezia: in particolare il dialetto di Colle, più esposto, si è allontanato maggiormente dal tipo livinallese che non le varietà più isolate della Val Pettorina, ed è oggi piuttosto simile a quello della vicina Selva, stanziamento di origine cadorina (cfr. le carte con le isoglosse in Pellegrini 1954/55).

2. Cenni storici

Secondo l'opinione tradizionale (Pfister 1982), in periodo antico, il territorio dove oggi si parla ladino atesino (da qui in poi, semplicemente ladino) non era popolato. Il popolamento sarebbe avvenuto verso la fine dell’Alto Medioevo a partire dalla Valle dell’Isarco, attraverso la Val Gardena, e dalla Val Pusteria, attraverso la Val Badia. Se si accetta questa ipotesi, il ladino rappresenterebbe quanto resta della latinità della Valle Isarco (con le sue valli laterali, in particolare quelle del versante sinistro) e della Val Pusteria, germanizzate in varie fasi tra il VII secolo e gli inizi del XVII secolo. Numerose scoperte archeologiche avvenute in questi ultimi anni sembrano però testimoniare di stanziamenti in parte stabili nelle valli ladine fin dall’antichità. La mancanza di documentazione per il periodo alto-medievale non permette tuttavia di decidere in maniera definitiva se ci sia continuità tra gli eventuali stanziamenti antichi e quelli medievali e moderni (Chiocchetti 2008).

Come abbiamo visto, le valli ladine (con l’esclusione di Moena) fino all’inizio dell’Ottocento fecero parte, anche se non sempre direttamente, di una stessa unità politica e religiosa, quella costituita dal principato vescovile di Bressanone (parte del Tirolo e quindi, dal XIV sec., dei domini asburgici): di questa rappresentavano la porzione romanza. Durante il periodo napoleonico, il territorio ladino fu diviso fra il Regno di Baviera e il Regno d’Italia. Con la Restaurazione esso ritornò all’Austria, ma furono in parte mantenute le divisioni amministrative precedenti. Dopo il passaggio all’Italia (1919), si instaura la suddivisione amministrativa tuttora esistente: Badia, Marebbe e Gardena fanno parte della provincia di Bolzano, Fassa della provincia di Trento e Livinallongo della provincia di Belluno.

Come parte dello statuto speciale di autonomia concesso alla regione Trentino-Alto Adige (1948 e 1972), i ladini della provincia di Bolzano vengono riconosciuti come gruppo linguistico (1951) e viene introdotto l’insegnamento del ladino nella scuola dell’obbligo (accanto all’italiano o al tedesco in prima elementare; a partire dalla seconda solo due ore settimanali); a partire dal 1969 l’insegnamento del ladino viene introdotto anche nelle scuole elementari della Val di Fassa (ora a livello paritetico, con una parte delle materie insegnate in fassano). Nel 1989 il ladino viene riconosciuto come lingua dell’amministrazione pubblica in provincia di Bolzano e nel 1993 anche in Val di Fassa. L’Union Generela di Ladins dla Dolomites (che riunisce anche gli Ampezzani) pubblica il settimanale La Usc di Ladins; radio e televisioni locali forniscono inoltre alcuni spazi a trasmissioni in ladino nelle provincie di Bolzano e di Trento. Cfr. in generale Craffonara (1995) e, sulla situazione linguistica attuale, Dell’Aquila/Iannàccaro (2006).

Non disponiamo di testi medievali redatti in ladino: si sono voluti attribuire al gardenese alcuni versi contenuti in due composizioni del poeta Oswald von Wolkenstein (XV sec.), signore appunto di Wolkenstein/Selva in Val Gardena, ma gli argomenti non sembrano decisivi. I documenti certi più antichi sono costituiti dalla traduzione di tre proclami del vescovo di Bressanone (1631, 1632, ca. 1703-10) in una scripta amministrativa sovralocale su base gaderano-livinallese. Un numero più rilevante di testi compare solo a partire dal XIX sec., dal quale provengono anche una ventina di testi a stampa, per lo più in badiotto, e le prime grammatiche e descrizioni scientifiche.

Come idiomi insegnati nella scuola e usati nell’amministrazione pubblica, le varietà ladine del Trentino-Alto Adige hanno una grafia (quasi) standardizzata. Si è anche elaborata una varietà scritta comune (comprendente anche l’ampezzano), il ladin standard (o dolomitan), sul modello del rumantsch-grischun (Schmid 2000).

La bibliografia degli studi sul ladino fino al 2010 è contenuta in Videsott (2011). In quanto segue ci basiamo, oltre che su alcune recenti presentazioni generali come Plangg (1989), Pellegrini (1989), Haiman/Benincà (1992), Gsell (2008), sui materiali offerti da opere di riferimento come Kramer (1978; 21981; 1988–1998), ALD-I e ALD-II, e da descrizioni dettegliate di singole varietà o del loro lessico, in particolare Gartner (1879), Lardschneider-Ciampac (1933), Tagliavini (1934), Elwert (1943), Videsott/Plangg (1998), Gallmann/Siller-Runggaldier/Sitta (2007; 2010; 2013; 2018), oltre a Kuen (1970; 1991).

3.Fonetica e fonologia

3.1 Vocalismo

Il vocalismo tonico (Craffonara 1977) è caratterizzato da un’evoluzione distinta in quei contesti in cui si è avuto un allungamento della vocale determinato dalla struttura sillabica (per es. quando in latino si aveva una sillaba aperta in un parossitono divenuto poi ossitono in ladino) rispetto a quelli in cui questo non si è verificato (per es. in sillaba chiusa latina). Evoluzioni tipiche in contesto di allungamento e di non-allungamento sono date nelle Tabelle 1-2:

Tabella 1: Evoluzione del vocalismo tonico in contesto di allungamento

  marebbano badiotto gardenese fassano livinallese
a : nāsu ‘naso’ ˈneːs ˈnɛːs ˈnes ˈnɛs ˈnɛs
ɛ: *mele ‘miele’ ˈmi ˈmiːl ˈmiəl ˈmjel ˈmjel
ɔ: novem ‘nove’ ˈnø ˈny ˈnuəf ˈnef ˈnwof
e : nive ‘neve’ ˈnej ˈnaj ˈnæjf ˈnɛjf ˈnej
o : jugu ‘giogo’ ˈʒu ˈʒu ˈʒæwf ˈʒɔwf ˈʒow

Tabella 2: Evoluzione del vocalismo tonico in contesto di non-allungamento

  marebbano badiotto gardenese fassano livinallese
a : saccu ‘sacco’ ˈsak ˈsaːk ˈsak ˈsak ˈsak
ɛ : septem ‘sette’ ˈsɛt ˈset ˈset ˈset ˈset
ɔ : collu ‘collo’ ˈkɔːl ˈkɔːl ˈkɔl ˈkɔl ˈkɔl
e : siccu ‘secco’ ˈsɛk ˈsak ˈsæk ˈsek ˈsɑk
o : musca ‘mosca’ ˈmoʃa ˈmoʃa ˈmoʃa ˈmoʃa ˈmoʃa

I contesti di allungamento non sono però sempre stati gli stessi in tutte le varietà: quei casi in cui in latino si aveva una sillaba aperta in un proparossitono oppure in un parossitono rimasto tale in ladino, non erano originariamente contesti di allungamento (come mostra l'evoluzione di ɔ in tutte le varietà; per ɛ i dati sono difficilmente interpretabili), lo sono però diventati in un periodo più tardo in gardenese e in fassano (ma non in gaderano e livinallese), come mostrano gli esiti di a, e e o; avremo così: lat. pāla ‘pala’ > gard. [ˈpela], fass. [ˈpɛla] (come per nāsu) vs. mar. [ˈpara], bad. [ˈpaːra], liv. [ˈpala] (come per saccu); lat. sēdecim ‘sedici’ > gard. [ˈsæjdəʃ], fass. [ˈsɛjdeʃ] (come per nive) vs. mar. [ˈsɛdeʃ], bad. [ˈsadəʃ], liv. [ˈsɑdeʃ] (come per siccu); lat. gulōsa ‘golosa’ > gard. [guˈlæwza], fass. [goˈlɔwza] (come per jugu) vs. mar., liv. [goˈloza], bad. [guˈloza] (come per musca). Per ɔ abbiamo solo l’esito non dipendente da allungamento: lat. rota > mar., gard., fass., liv. [ˈrɔda], bad. [ˈrɔːda] (come collu).

In gaderano u è passata a y (in marebbano in alcuni contesti ø; la datazione del fenomeno è dibattuta): lat. crūdu ‘crudo’ > gad. [ˈkry], lat. cūna > mar. [ˈkøna], alto bad. [ˈkyna]; lat. frūctu ‘frutto’ > gad. [ˈfryt].

In gaderano l’originale differenza di lunghezza vocalica determinata dalla struttura sillabica si è fonologizzata. Non esiste però una corrispondenza precisa fra i contesti originari di allungamento o non-allungamento vocalico e le lunghe e le brevi del sistema attuale, dato che le condizioni primitive sono state modificate da varie evoluzioni condizionate: le lunghe si sono abbreviate in posizione finale assoluta (cfr. mar. [ˈmi] vs. bad. [ˈmiːl] ‘miele’), nuove lunghe sono sorte dalla fusione di due vocali uguali (bad. [fuˈraː] ‘forava’ < -aa), ecc. Coppie (quasi) minime per il marebbano sono: /ˈara/ ‘ala’ ~ /ˈaːra/ ‘aia’, /ˈpɛr/ ‘pera’ ~ /ˈpɛːr/ ‘paio’, /ˈpiʃ/ ‘piscia’ ~ /ˈpiːʃ/ ‘piedi’, /ˈbɔʃk/ ‘bosco’ ~ /aˈrɔːʃk/ ‘rana’, /o/ ‘o’ ~ /ˈoː/ ‘vuole’, /ˈtut/ ‘preso’ ~ /ˈduːtʃ/ ‘dolce’, /ˈdøt/ ‘tutto’ ~ /ˈøːt/ ‘vuoto’, /ˈmyʃ/ ‘asino’ ~ /ˈmyːʃ/ ‘visi’ (cfr. anche /ˈleɲa/ ‘legna’ rispetto a /ˈeːga/ ‘acqua’).

Come nei dialetti circostanti, le vocali finali diverse da -a cadono (cfr. sopra gli esiti di nāsu e *mele vs. quelli di musca). Nelle parole terminanti in occlusiva + r, abbiamo una vocale d’appoggio e tra l’occlusiva e la r: lat. mācru ‘magro’ > mar. [ˈmeːger], gad. [ˈmɛːgər], gard. [ˈmegər], fass., liv. [ˈmɛger]; in caso di caduta dell’occlusiva, la vocale d’appoggio si mantiene e si realizza dopo la r: lat. patre ‘padre’ > mar. [ˈpeːre], bad. [ˈpɛːrə], gard. [ˈpɛrə], fass., liv. [ˈpɛre]. Fassano e livinallese presentano la stessa vocale d’appoggio anche dopo i gruppi di occlusiva + l, vocale conservata anche dopo la sparizione, in fassano, delle condizioni originarie: lat. duplu ‘doppio’ > liv. [ˈdople], fass. [ˈdopje], lat. *veclu ‘vecchio’ > liv. [ˈvegle], fass. [ˈvɛje]; gaderano e gardenese, invece, in questi casi non presentano vocale d’appoggio: gad., gard. [ˈdopl], [ˈvedl].

In atonia, in badiotto e gardenese si ha una riduzione nel timbro di e a ə e di o a u (v. sopra gli ess. per sēdecim, gulōsa, mācru e patre).

3.2 Consonantismo

Come le altre varietà parlate in Italia settentrionale, il ladino non presenta consonanti geminate (v. sopra gli ess. per saccu, septem, collu, siccu, frūctu, duplu), ha subito la sonorizzazione delle ostruenti intervocaliche (con possibile dileguo; v. sopra gli ess. per gulōsa, mācru, patre, *veclu) e desonorizza le ostruenti sonore in fine di parola (v. sopra gli ess. per nāsu [-s- > -z- > -s], novem/nivem [-w- > -v- > -f]).

Il ladino presenta inoltre alcuni tratti in comune con il friulano e il romancio grigionese; su questi tratti si è basata principalmente l’individuazione di un gruppo linguistico indipendente formato da questi tre gruppi dialettali. La ricerca ha tuttavia chiarito che questa comunanza di tratti rappresenta in realtà la conservazione indipendente di fenomeni un tempo diffusi su un’area più vasta dell’Italia settentrionale (e conservati ancora oggi in varie altre zone marginali dello stesso territorio; cfr. Pellegrini 1991; Videsott 2001; Vanelli 2005). I tratti in questione sono: a) la palatalizzazione di k e g davanti ad a; b) la conservazione dei nessi di consonante + l; e c) la conservazione di -s finale.

Nel ladino la palatalizzazione di k ha dato c/tʃ (in posizione intervocalica j o dileguo), quella di g ha dato ɟ/(d)ʒ/j (in posizione intervocalica j o dileguo). Ess.: lat. caballu ‘cavallo’ > mar. [caˈval], bad. [caˈvaːl], gard., fass., liv. [tʃaˈval]; lat. brāca ‘calzoni’ > mar., liv. [ˈbraja], alto bad. [ˈbraːja], gard. [ˈbrea], fass. [ˈbraa]; lat. gallu ‘gallo’ > mar. [ˈjal], alto bad. [ˈɟaːl], gard., fass., liv. [ˈdʒal]; lat. plāga ‘piaga’ > mar., liv. [ˈplaja], alto bad. [ˈplaːja], gard. [ˈplea], fass. [ˈpjaa].

Nelle varietà (recessive) che hanno ancora c, questo è in opposizione con tʃ, derivato dalla palatalizzazione romanza di k latino (o di altra origine):1 mar. [ˈcɛːr] ‘caro’ < caru vs. [ˈtʃɛːr] ‘certo’ < certu (Craffonara 1979).

I gruppi con l sono conservati in tutte le varietà eccetto il fassano; inoltre, in gaderano e gardenese kl e gl sono passati, rispettivamente, a tl e dl; ess.: lat. floccu ‘fiocco’ > mar., gard., liv. [ˈflɔk], alto bad. [ˈflɔːk]; lat. clāve ‘chiave’ > gad., gard. [ˈtle], liv. [ˈkle]; lat. *glacia/u ‘ghiaccio’ > mar., gard. [ˈdlatʃa], alto bad. [ˈdlaːtʃa], liv. [ˈglatʃ]. In fassano l è passato a j nel XIX sec. (ma gli esiti kj < kl, j < gl [e kl in posizione intervocalica] restano distinti dagli esiti / tipici dei dialetti italiani settentrionali); ess.: [ˈfjɔk], [ˈkjef], [ˈjatʃa] (accanto a [ˈdʒatʃa]), [ˈɛje] ‘occhio’ (< lat. oc(u)lu).

La -s finale è conservata con valore morfologico come desinenza nominale del plurale (v. ess. in 4.1) e come desinenza verbale della 2sg e, parzialmente, nella 2pl (ma non nella 1pl — v. ess. in 4.2). Dove non ha valore morfologico, non si conserva: lat. plūs ‘più’ > mar. [ˈply], alto bad. [ˈplø], gard., liv. [ˈplu], fass. [ˈpju].

Come in altre varietà marginali dell’Italia settentrionale, gli esiti della palatalizzazione romanza conservano ancora lo stadio palatale (, ʃ, ʒ, a seconda dell’origine e del contesto), mentre in molte varietà italiane settentrionali si è passati all’alveolare corrispondente; ess.: lat. *cinque ‘cinque’ > lad. [ˈtʃiŋk]; lat. gente ‘gente’ > mar. [ˈʒɔnt], bad. [ˈʒant], gard. [ˈʒænt], fass. [ˈʒɛnt], liv. [ˈʒent]; lat. iugu ‘giogo’ > gad. [ˈʒu], gard. [ˈʒæwf], fass. [ˈʒɔwf], liv. [ˈʒow]; lat. legere ‘leggere’ > gard. [ˈliəʒər], fass. [ˈleʒer], liv. [ˈljeʒe]; lat. ratiōne ‘ragione’ > mar. [raˈʒuŋ], alto bad. [rəˈʒuŋ], gard. [rəˈʒoŋ], fass. [reˈʒɔŋ], liv. [reˈʒoŋ]; lat. piceu ‘abete rosso’ > alto bad. [ˈpatʃ], gard. [ˈpætʃ], fass. [ˈpetʃ], liv. [ˈpɑtʃ]; lat. brūsiāre ‘bruciare’ > gad. [burˈʒe], gard., liv. [bruˈʒe], fass. [bruˈʒɛr] (nota anche la palatalizzazione di s davanti a i: lat. sībilat ‘fischia’ > gad. [ˈʃyːra], gard. [ˈʃibla], fass. [ˈʃigola], liv. [ˈʃjola]).

Altre evoluzioni tipiche sono la caduta di v davanti a vocale velare (lat. vōce ‘voce’ > gad. [ˈuːʃ], gard. [ˈuʃ], fass. [ˈɔwʃ], liv. [ˈowʃ]), la semplificazione del nesso nd in posizione postonica (eccetto che in gardenese; lat. vēndere ‘vendere’ > mar. [ˈvɛne], bad. [ˈvanə], fass. [ˈvener], liv. [ˈvɑne] vs. gard. [ˈvændər]) e quella del nesso mb (lat. camba ‘gamba’ > mar., fass. [ˈjama], alto bad. [ˈdʒaːma], gard., liv. [ˈdʒama]). Gaderano e gardenese hanno incorporato, attraverso i molti prestiti tedeschi, il fonema /h/ nel loro sistema fonematico (realizzato come una fricativa velare): gad. [ˈrɛːxl] ‘capriolo’, gard. [xekəlˈne] ‘lavorare all’uncinetto’.

4.Morfologia

4.1 Sistema nominale

Nomi e aggettivi femminili terminanti in -a fanno il plurale in -es, eccetto nella bassa Val di Fassa e nel Livinallongo, dove il plurale, per la caduta della -s finale, è in -e: mar. [ˈtʃoːla]/[ˈtʃoːles] ‘cipolla/cipolle’, bad. [ˈtʃoːla]/[ˈtʃoːləs], gard. [ˈtʃola]/[ˈtʃoləs], fass. (cazét) [tsiˈgola]/[tsiˈgoles] vs. fass. (brach) [tsiˈgola]/[tsiˈgole], liv. [ˈtʃeola]/[ˈtʃeole]. Gli altri femminili hanno il plurale in -(e)s, mentre nella bassa Val di Fassa e nel Livinallongo il plurale è uguale al singolare: gad. [ˈpɛːrt]/[ˈpɛːrt(ə)s] ‘parte/parti’, gard. [ˈpɛrt]/[ˈpɛrtəs], fass. (cazét) [ˈpɛrt]/[ˈpɛrts] vs. fass. (brach) [ˈpart], liv. [ˈpɛrt] (sg/pl).

Nel maschile il plurale può essere in -(e)s o in -i; la distribuzione attuale delle due desinenze è in gran parte determinata dalla terminazione della radice, anche se con un alto grado di irregolarità e di variazione tra i vari dialetti; il plurale in -i, inoltre, viene realizzato in maniere molto variate a seconda della terminazione della radice: la desinenza -i può 1) essere conservata, oppure 2) cadere dopo aver palatalizzato la consonante o la vocale precedente, per cui il plurale è segnalato in sincronia dalla palatalizzazione della consonante o vocale finale della parola.

A grandi linee possiamo dire che abbiamo regolarmente il plurale in -i, in tutte le varietà, con i maschili che terminano in -t, -s/-ts e -l; in questi casi il plurale si realizza come palatalizzazione della consonante; ess.: mar. [ˈlɛt]/[ˈlɛc] ‘letto/letti’, bad. [ˈlet]/[ˈlec], gard. [ˈliət]/[ˈliətʃ], fass., liv. [ˈlet]/[ˈletʃ]; mar., gard., fass., liv. [ˈbas]/[ˈbaʃ] ‘basso/bassi’, bad. [ˈbaːs]/[ˈbaːʃ]; gad. [ˈmyl]/[ˈmyj] ‘mulo/muli’, gard., fass., liv. [ˈmul]/[ˈmuj]; ma nelle forme terminanti in consonante + l, con o senza vocale d'appoggio, il plurale si realizza come -i: gad., gard. [ˈvedl]/[ˈvedli] ‘vecchio/vecchi’, liv. [ˈvegle]/[ˈvegli].

Abbiamo invece generalmente il plurale in -(e)s con i maschili in -r e in -m, eccetto il livinallese, che ha desinenza zero: mar. [ˈcar]/[ˈcars] ‘carro/carri’, bad. [ˈcaːr]/[ˈcaːrts], gard. [ˈtʃar]/[ˈtʃarəs], fass. [ˈtʃɛr]/[ˈtʃɛres] vs. liv. [ˈtʃar] (sg/pl); mar. [ˈram]/[ˈrams] ‘ramo/rami’, gard. [ˈram]/[ˈraməs], fass. [ˈram]/[ˈrames] vs. liv. [ˈram] (sg/pl).

Con le forme in -k(/-g-) il plurale è in -i (palatalizzazione) in gaderano e livinallese: mar. [ˈpiŋk]/[ˈpiːŋc] ‘pino/pini’, bad. [ˈpiŋk]/[ˈpiŋc], liv. [ˈpiŋk]/[ˈpiŋtʃ]; in gardenese e fassano, invece, può essere in -i o in -es: gard. [ˈpuək]/[ˈpuətʃ] ‘poco/pochi’, [ˈfuək]/[ˈfuəʃ] ‘fuoco/fuochi’ vs.[ˈpiŋk]/[ˈpiŋks]; fass. [ˈpek]/[ˈpetʃ] vs. [ˈfek]/[ˈfeges]. Anche in vari altri casi il fassano e, in parte, il gardenese hanno generalizzato il plurale in -(e)s, mentre le altre varietà hanno il tipo -i (Chiocchetti 2001), o una forma uguale a quella del singolare, per es. con i nomi terminanti in -p e -v/f: gad. [ˈcamp] ‘campo/-i’, liv. [ˈtʃamp] (sg/pl) vs. gard. [ˈtʃamp]/[ˈtʃampəs], fass. [ˈtʃamp]/[ˈtʃampes]; gad. [ˈkɔːrf] ‘corvo/-i’, liv. [ˈkɔrf] (sg/pl) vs. gard. [ˈkɔrf]/[ˈkɔrvəs], fass. [ˈkɔrf]/[ˈkɔrves].

Troviamo anche l'accumulo di due segni di plurale: palatalizzazione + s o, più frequentemente, s + palatalizzazione: bad. [ˈdaːn]/[ˈdaːɲs] ‘danno/-i’, bad. [ˈpɛːrə]/[ˈpɛːrəʃ] ‘padre/-i’, gard. [ˈpɛrə]/[ˈpɛrəʃ], fass., liv. [ˈpɛre]/[ˈpɛreʃ].

In fassano la -i può anche causare la palatalizzazione di a tonica, sia in aggiunta alla palatalizzazione della consonante finale, sia come unico segno del plurale: fass. [ˈan]/[ˈɛɲ] ‘anno/anni’, [ˈpra]/[ˈpre] ‘prato/prati’ (in badiotto abbiamo invece [ˈprɛ]/[ˈpra]: al singolare abbiamo la normale evoluzione della vocale tonica in contesto di allungamento [3.1], mentre al plurale la -i , poi caduta, ha mantenuto la parola nella classe dei parossitoni, impedendo così l’allungamento [3.1] e quindi il passaggio a > ɛ).

Con alcuni nomi indicanti persona, in gaderano e gardenese il plurale si forma col suffisso -ōnes (m.) / -ānes (f.): mar. [ˈmøt]/[miˈtuŋs] ‘bambino/bambini’, alto bad. [ˈmyt]/[miˈtuŋs], gard. [ˈmut]/[muˈtoŋs]; mar. [ˈmøta]/[miˈtaŋs] ‘bambina/bambine’, bad. [ˈmyta]/[miˈtaŋs], gard. [ˈmuta]/[muˈtaŋs].

Gli aggettivi appartengono tutti alla classe variabile che forma il femminile con -a, anche quelli che in latino appartenevano alla classe invariabile: per es. gard. [ˈʒæwn]/[ˈʒæwna] ‘giovane (m/f)’ (cfr. lat. iuuenis [m/f]). Come conseguenza dei cambiamenti fonetici, si sono create numerose alternanze nella forma del lessema tra maschile e femminile: gad. [ˈblaŋk]/[ˈblaːnca] ‘bianco/bianca’, [ˈfoʃk]/[ˈfoʃa] ‘nero/nera’, gard. [ˈplæŋ]/[ˈplæjna] ‘pieno/piena’, fass. [ˈtebek]/[ˈtebja] ‘tiepido/tiepida’, liv. [ˈsowrt]/[ˈsowrda] ‘sordo/sorda’.

Nei pronomi personali, diversamente dalla maggior parte dei dialetti italiani settentrionali moderni, le forme dei pronomi soggetto liberi di 1sg e 2sg derivano dalle forme del nominativo e non da quelle dell'obliquo (eccetto che in livinallese): lat. ego ‘io’ > mar. [ˈju], bad. [ˈjø], gard. [ˈiə], fass. [ˈdʒe] vs. liv. [ˈmi] < mihi; lat. tū ‘tu’ > gad. [ˈtø], gard., fass. [ˈtu] vs. liv. [ˈti] < tibi; le forme di 3sg/pl, che valgono anche per l’obliquo, sono: lat. illu/illa/illī/illās ‘egli/essa/essi/esse’ > mar. [ˈɛl]/[ˈɛra]/[ˈej]/[ˈɛres], alto bad. [ˈal]/[ˈala]/[ˈaj]/[ˈaləs], gard. [ˈæl]/[ˈæjla]/[ˈæj]/[ˈæjləs], fass. [ˈel]/[ˈɛla]/[ˈitʃ]/[ˈɛles], liv. [ˈdɑl]/[ˈdɑla]/[ˈdɑj]/[ˈdɑle] (la d delle forme livinallesi deriverà dalla concrezione della -d finale della preposizione a(d) ‘a’ in costruzioni del tipo [ad ˈɑl] > [a ˈdɑl]).

Tutte le varietà posseggono anche forme clitiche del pronome soggetto, anche se non con le stesse proprietà sintattiche (v. 5.3). In posizione preverbale, gardenese, fassano e livinallese, come molti dialetti italiani settentrionali, hanno solo tre forme: 2sg, 3sg e 3pl; l’alto badiotto ha anche la 1sg, mentre il resto del badiotto e il marebbano hanno la serie completa (ma le forme di 1sg, 1pl e 2pl, come in molti dialetti italiani settentrionali, sono uguali). In posizione enclitica, cioè in caso di inversione (v. 5.3), gaderano e livinallese hanno la serie completa (e nel XIX sec. l’aveva completa anche il gardenese; Gartner 1879: 76, 87); questa asimmetria tra la serie proclitica e quella enclitica è tipica anche di molti dialetti italiani settentrionali (Renzi/Vanelli 1983). Cfr. Tabella 3.

Tabella 3: Pronomi soggetto clitici (proclitici / enclitici)

  marebbano badiotto gardenese fassano livinallese
1sg i / i i / i - / i - / (-e) - / jo
2sg te / te tə / (tə) tə / - te / te te / to
3sg.m al / (e)l al / (ə)l l / (ə)l el / (e)l l / (e)lo
3sg.f ara / (e)ra ala / (ə)la la / (ə)la la / (e)la la / (e)la
1pl i / ze (i) / z(e) - / s - / -e - / zo
2pl i / e (i) / (e) - / - - / - - / o
3pl.m aj / i aj / i i / i i / i i / (e)li
3pl.f ares / (e)res aləs / (ə)ləs ləs / (ə)ləs les / (e)les le / (e)le

Gaderano e gardenese posseggono anche una forma di pronome soggetto impersonale generico: mar. [aŋ]/[-(o)ŋ], bad. [aŋ]/[-(ə/u)ŋ], gard. [ŋ]/[-(ə)ŋ] (mentre fassano e livinallese usano in questi casi la coniugazione pronominale; v. sotto es. [32]); questo soggetto è pl, come mostrano i fenomeni di accordo del participio (1b) (il verbo finito non distingue 3sg e 3pl; v. 4.2), mentre il genere dipende dal riferimento:2

(1) a (gard.) ʃə n ˈa ˈsuən, ˈva-ŋ a durˈmi

(se an hanno sonno, vanno-an a dormire)

‘se si ha sonno, si va a dormire’

b (bad.) ˈe ʒyːs / ˈe ˈɲydəs saluˈdadəs

(an sono andati) / (an sono venute salutate)

‘si è andati / si è state salutate’

Nella serie dei pronomi obliqui liberi, si distinguono, alla 1sg e alla 2sg, due forme: 1) gad. [ˈmɛ]/[ˈtɛ], gard., fass., liv. [ˈme]/[ˈte]; e 2) gad. [ˈme]/[ˈte], gard., fass., liv. [ˈmi]/[ˈti]. Il primo tipo (< accusativo mē/tē) è usato con funzione di oggetto diretto e dopo preposizione, mentre il secondo tipo (< dativo mihi/tibi) è usato con funzione di oggetto indiretto, sempre accompagnato dalla preposizione a:

(2) a (gard.) pra ˈte

‘presso (di) te’

b ˈkæʃ ˈgwant tə ˈfeʒ-i a ˈti

(questo vestito ti faccio-io a te)

‘Questo vestito, lo faccio per te’

Il sistema dei pronomi obliqui clitici è analogo a quello della gran parte dei dialetti italiani settentrionali, ma non presenta una forma per il locativo; così frasi esistenziali del tipo ‘c’è…’ vengono rese con ‘esso è…’ (v. anche sotto [58a] e [67]):

(3) (fass.) ˈla ˈite l ˈera una ˈfemena

(là dentro esso era una donna)

‘là dentro c’era una donna’.

In gaderano e gardenese, il clitico dativo di 3sg/pl, accanto alla forma i (< illī), può avere anche la forma ti, ma solo in posizione proclitica:

(4) a (bad.) l ˈfrɛ i/ti ˈda ˈvaːlk

(il fratello gli dà qualcosa)

‘il fratello gli(sg./pl.)/le dà qualcosa’

b ˈde-i ˈvaːlk

(date-gli qualcosa)

‘dategli(sg./pl.)/le qualcosa’

Come mostra il fatto che compare solo davanti al verbo, la forma ti, oggi prevalente, dovrà la sua origine alla agglutinazione di (parte di) un elemento precedente: forse la parte finale del dimostrativo di tipo chest ‘questo’ (oggi senza t: mar. [ˈkøʃ], alto bad. [ˈkaʃ], gard. [ˈkæʃ]; cfr. Gsell 1987).

Come in molti dialetti italiani settentrionali, il clitico riflessivo di 3 persona se è stato esteso anche alla 1pl; in gardenese se ha però solo valore riflessivo, mentre per il reciproco si usa il clitico non-riflessivo. Abbiamo così:

(5) a (gard.) i muˈtoŋs nəz ˈa manˈda dʒawˈloni

‘i bambini ci hanno mandato (delle) caramelle’

b ˈnæws ˈoŋ kumˈpra dʒawˈloni

(noi se abbiamo comprato caramelle)

‘noi ci siamo comprati delle caramelle (per noi stessi)’

c ˈnæws nəz ˈoŋ manˈda dʒawˈloni

(noi ci abbiamo mandato caramelle)

‘noi ci siamo mandati delle caramelle (l’un l’altro)’

In gaderano se ha sostituito i clitici di 1pl e 2pl in tutti i loro usi:

(6) a (alto bad.) arˈʒiɲe-s la maˈrana !

(prepara-se il pranzo)

‘preparaci il pranzo!

b s uˈduŋ manˈdʒaŋ

(se vediamo mangiando)

‘vi vediamo mangiare (mentre mangiate)’

I possessivi presentano in genere quattro forme distinte per genere e numero: per es. mar. [ˈtɔ/ˈtøa/ˈty/ˈtøes] ‘tuo/tua/tuoi/tue’; ma come determinante il gardenese usa una forma unica nelle persone diverse dalla 1pl e 2pl: per es. [ˈti ˈtʃaŋ] ‘il tuo cane’/[ˈti ˈtʃaŋs] ‘i tuoi cani’/[ˈti tʃaˈmæjʒa] ‘la tua camicia’/[ˈti tʃaˈmæjʒəs] ‘le tue camicie’. Non si hanno forme distinte per la 3sg e la 3pl: per es. fass. [ˈsɔ] ‘suo/loro’.

4.2 Verbo

Per quanto riguarda le desinenze personali, la 1sg ha la desinenza -e (mar. e basso bad. -i) nel presente e imperfetto di indicativo e congiuntivo di tutte le coniugazioni (in marebbano solo al presente, in badiotto solo al presente indicativo; in alto badiotto la -e può cadere): cfr. per es. fass. [ˈtʃante]/[ˈtʃante]/[tʃanˈtɛe]/[tʃanˈtase] ‘(io) canto/canti/cantavo/cantassi’. Abbiamo qui la restaurazione di una desinenza personale anetimologica dopo la caduta della -ō nel presente indicativo, restaurazione comune a molte varietà romanze (francese, catalano, occitanico, dialetti italiani settentrionali), con eventuale estensione ad altri tempi e modi (Benincà/Vanelli 2005: 243-56).

La 2sg ha la desinenza -es (< -ās; nella bassa Val di Fassa e nel Livinallongo -e, per la caduta di -s finale) in tutti i tempi e modi di tutte le coniugazioni (eccetto, in marebbano, il congiuntivo presente; v. sotto): cfr. per es. fass. [ˈtʃantes]/[ˈtʃantes]/[tʃanˈtɛes]/[tʃanˈtases] ‘(tu) canti/canti (cong.)/cantavi/cantassi’.

Alla 1pl, il presente indicativo ha la desinenza gad. -uŋ / gard., fass., liv. -oŋ (-juŋ/-joŋ nella IV coniugazione) < -umus, come nei dialetti veneti settentrionali: cfr. per es. fass. [tʃanˈtoŋ]/[baˈtoŋ]/[dorˈmjoŋ] ‘cantiamo/battiamo/dormiamo’. Per gli altri tempi e modi, v. sotto.

La desinenza della 2pl dell’indicativo presente è -Vjs (mar., basso bad., gard.) / -V:s (alto badiotto) / -Vj (liv.) / -Vde (fass.), dove V è la vocale tematica della coniugazione: cfr. per es. mar. [canˈtejs]/[baˈtejs]/[dorˈmiːs] ‘cantate/battete/dormite’, alto bad. [canˈteːs]/[baˈteːs]/[durˈmiːs], liv. [tʃanˈtej]/[baˈtej]/[dorˈmjej], fass. [tʃanˈtɛde]/[baˈtede]/[dorˈmide] (con la stessa vocale tematica per la I e la II/III coniugazione in tutte le varietà eccetto il fassano). La desinenza -de (presente anche nella varietà cadorina del Comelico) è di difficile spiegazione, mentre quella delle altre varietà deriva normalmente da -tis. Per gli altri tempi e modi, v. sotto.

La 3pl è sempre uguale alla 3sg, anche nei verbi irregolari, come nei dialetti veneti e in molti altri dialetti italiani settentrionali: cfr. per es. mar. [ˈɛ] ‘è/sono’, bad. fass., liv. [ˈe], gard. [ˈiə].

A causa della diversa evoluzione del vocalismo in posizione tonica e atona, sono frequenti le alternanze del lessema tra forme rizotoniche e rizoatone (Mair 1973: 5.6), come mostrano le seguenti forme di 1sg e 1pl: gard. [ˈkontə]/[kunˈtoŋ] ‘raccontare’, [ˈselə]/[saˈloŋ] ‘salare’, [ˈmæwʒə]/[muˈʒoŋ] ‘mungere’. L’alternanza può riguardare anche la struttura sillabica: gard. [ˈprɔvə]/[purˈvoŋ] ‘provare’, [ˈkræjə]/[kərˈdoŋ] ‘credere’.

Al presente di indicativo, congiuntivo e imperativo, la I e la IV coniugazione comprendono un’ampia sottoclasse di verbi che presentano, rispettivamente, l'ampliamento -idi- ed -ēsc- (eccetto che alla 1pl e alla 2pl): mar. [viʒiˈtejes]/[floˈrɛʃes] ‘(tu) visiti/fiorisci’, alto bad. [viʒiˈtajəs]/[fluˈraʃəs], gard. [viʒiˈtejəs]/[fluˈræʃəs], fass. [viʒiˈtees]/[fjoˈreʃes], liv. [viʒiˈteje]/[floˈrɑʃe]; cfr. i paradigmi completi in fassano: [viʒiˈtee], [viʒiˈtees], [viʒiˈtea], [viʒiˈtoŋ], [viʒiˈtɛde], [viʒiˈtea]; [fjoˈreʃe], [fjoˈreʃes], [fjoˈreʃ], [fjoˈrjoŋ], [fjoˈride], [fjoˈreʃ].

Nel congiuntivo presentegaderano e livinallese presentano una desinenza unica per le tre persone del singolare (e la 3pl) di tutte le coniugazioni: mar. [ˈcanti] ‘(io/tu/egli/essi) canti(no)’, bad. [ˈcantəs], liv. [ˈtʃɑnte]. Gardenese e fassano hanno la 1sg e la 2sg come nell’indicativo; alla 3sg/pl hanno -e in tutte le coniugazioni: gard. [ˈtʃantə], fass. [ˈtʃante]. Per la 1pl e la 2pl, eccetto che in fassano, le forme sono uguali a quelle dell’indicativo con l’aggiunta di un suffisso: in gaderano e gardenese, come in vari dialetti veneti settentrionali, il suffisso è -(z)e (si tratta delle forme del pronome soggetto enclitico [v. Tabella 3]; in alcune varietà questo suffisso compare anche nelle forme dell’imperfetto indicativo e congiuntivo): per es. mar. [canˈtuŋze]/[canˈtejze] ‘cantiamo/cantiate’ (alla 2pl, la -z- è la forma che la -s finale della desinenza assume in posizione intervocalica; alla 1pl, la -z- sarà analogica su quella della 2pl, e non una conservazione della -s della desinenza latina -mus); in alto badiotto e in gardenese la -e può cadere: per es. alto bad. [canˈtuŋs]/[canˈteːs], per cui la 2pl non si distingue dalla forma parallela dell’indicativo. In livinallese il suffisso è -be ([tʃanˈtombe]/[tʃanˈtejbe]), in analogia col congiuntivo di ‘avere’, dove il -be di [ˈɛbe] ‘(io) abbia’ è stato reinterpretato come un suffisso aggiunto alla forma dell'indicativo [ˈɛ] ‘ho’ e tutto il paradigma è stato ristrutturato in questo senso: [ˈɛbe], [ˈa(s)be], [ˈabe], [ˈombe], [ˈejbe], [ˈabe]. In fassano si usano le forme del congiuntivo imperfetto (v. sotto), come nei vicini dialetti fiammazzi, ma in alcuni dialetti per la 1pl si ha una desinenza specifica -ane/jane (anche questa con il suffisso -e), mentre la 2pl è uguale all’indicativo: [tʃanˈtane]/[tʃanˈtɛde].

Come in genere in Italia settentrionale, in ladino si è perso il perfetto semplice, sostituito da quello composto.

Nell’imperfetto indicativo, mentre gaderano e fassano distinguono tre tipi di suffissi temporali e fanno cadere la -v-, gardenese e livinallese hanno esteso il suffisso della II/III coniugazione alla I e conservano la -v-: mar. [canˈtaː]/[baˈtɛa]/[dorˈmia] ‘cantavo/battevo/dormivo’, bad. [canˈtaː]/[baˈtɔː]/[durˈmiː], fass. [tʃanˈtɛe]/[baˈtee]/[dorˈmie] vs. gard. [tʃanˈtɔvə]/[baˈtɔvə]/[durˈmivə], liv. [tʃanˈtɑve]/[baˈtɑve]/[dorˈmive] (si noti che in badiotto la -a della desinenza personale viene assorbita dalla vocale tonica del suffisso temporale anche quando questa sia diversa da a). Per quanto riguarda la 1pl e la 2pl, il gaderano presenta ritrazione dell’accento sul suffisso temporale (la cui vocale assorbe la vocale atona della desinenza personale, allungandosi): mar. [dorˈmiːŋ]/[dorˈmiːze] ‘dormivamo/dormivate’, bad. [durˈmiːŋ]/[durˈmiːs]; in gardenese e fassano, invece, l’accento è sulla desinenza personale:gard. [durˈmjaŋ]/[durˈmjajs], fas. [dorˈmjane]/[dorˈmjɛde]; il livinallese aggiunge il suffisso -ve alle forme del presente: [tʃanˈtoŋve]/[tʃanˈtejve] ‘cantavamo/cantavate’ (con una estensione analogica sulla base della forma di 1sg e 2sg [tʃanˈtɑve] ‘cantavo/cantavi’).

Nell’imperfetto congiuntivo marebbano, basso badiotto e fassano distinguono tre tipi di suffissi modo-temporali, mentre alto badiotto, gardenese e livinallese hanno esteso il suffisso della II/III coniugazione alla I: mar. [canˈtas]/[baˈtɛs]/[dorˈmis] ‘(io) cantassi/battessi/dormissi’, fass. [tʃanˈtase]/[baˈtese]/[dorˈmise] vs. (alto) bad. [canˈtes]/[baˈtes]/[durˈmis], gard. [tʃanˈtæsə]/[baˈtæsə]/[durˈmisə], liv. [tʃanˈtɑse]/[baˈtɑse]/[dorˈmise]. In gardenese, alto fassano e livinallese la 3sg/pl ha la desinenza analogica -a: gard. [durˈmisa] ‘dormisse’, alto fass, liv. [dorˈmisa] (vs. mar. [dorˈmis], bad. [durˈmis]). Il marebbano ha generalizzato un’unica forma per le tre persone del singolare (e la 3pl): [canˈtas] ‘(io/tu) cantassi/cantasse/cantassero’. Per quanto riguarda la 1pl e la 2pl, come nell’imperfetto indicativo, il gaderano ha l’accento sul suffisso modo-temporale, mentre gardenese e fassano hanno l’accento sulla desinenza personale: mar. [dorˈmisuŋ]/[dorˈmises] ‘dormissimo/dormiste’, bad. [durˈmisuŋ]/[durˈmises] vs. gard. [durmiˈsaŋ]/[durmiˈsajs], fass. [dormiˈsane]/[dormiˈsɛde]; il livinallese aggiunge il suffisso -se alle forme del presente: [tʃanˈtoŋse]/[tʃanˈtejse] ‘cantassimo/cantaste’ (con estensione analogica sulla base della forma di 1sg e 2sg [tʃanˈtɑse] ‘(io/tu) cantassi’).

Nell’imperativo la 2pl è sempre distinta dalla corrispondente forma dell’indicativo: mar. [dorˈmide] ‘dormite!’, bad., gard. [durˈmidə], fass., liv. [dorˈmi]. Dove abbiamo la desinenza -de, questa non compare in presenza di un riflessivo enclitico: bad. [senˈte-s] (sedete-se) ‘sedetevi!’, mentre con i clitici non-riflessivi la situazione è variabile: bad. [dajˈde-la] / mar. [dajˈdede-la] ‘aiutatela!’. Nel proibitivo, alla 2sg si usa, come in italiano, l’infinito (v. ess. [27] e [28c], sotto).

Oltre ai normali tempi composti sono in uso anche i rispettivi supercomposti per indicare la compiutezza dell’azione con i verbi transitivi:

(7) (gard.) belə iˈniər ˈɔva ˈpawl aˈbu fiˈna ˈsi ˈlæwr

(già ieri aveva P. avuto finito suo lavoro)

‘già ieri Paolo aveva finito il suo lavoro’

In tutte le varietà è presente il futuro romanzo; non si hanno invece forme di condizionale (v. 5.2).

5.Sintassi

5.1 Sintagma nominale

In gardenese, nei sintagmi nominali (SN) femminili tutto quanto precede la testa nominale non viene accordato al plurale, mentre vengono accordati gli aggettivi che seguono la testa (8c) (Belardi 1984):

(8) a la ˈpitla ˈmuta / la ˈpitla muˈtaŋs

(la piccola bambina) / (la piccola bambine)

‘la piccola bambina / le piccole bambine’

b ˈduta ˈkæla piˈtura / ˈduta ˈkæla piˈturəs

(tutta quella pittura) / (tutta quella pitture)

‘tutto quel dipinto / tutti quei dipinti’

c la ˈmuta kuˈrjæwza / la muˈtaŋs kuˈrjæwzəs

(la bambina curiosa) / (la bambine curiose)

‘la bambina curiosa / le bambine curiose’

Storicamente abbiamo qui a che fare con la caduta di -s finale in posizione preconsonantica, che è poi stata morfologizzata ed estesa a tutti i contesti (anche davanti a vocale: [l ˈawtʃa]/[l(a) ˈawtʃəs] ‘l’oca/le oche’ — inizialmente al plurale, davanti a vocale, doveva essere normale la forma non-elisa, oggi non obbligatoria). Questo è mostrato anche dal fatto che i SN maschili (dove la desinenza è prevalentemente -i) hanno un plurale regolare (9a); anche al maschile, però, esiste un buon numero di elementi che non prendono il morfema del plurale se precedono la testa, e questo indipendentemente dal loro tipo di plurale, in -s (9b,b’), o in -i (9c,c’):

(9) a l ˈbel ˈtʃɔf / i ˈbjej ˈtʃɔfəs

‘il bel fiore / i bei fiori’

b i ˈprim ˈtʃɔfəs b’ ˈprim/ˈprims

(i primo fiori) ‘primo/primi’

‘i primi fiori’

c i ˈʃtlet ˈrevəs c’ ˈʃtlet/ˈʃtletʃ

(i cattivo rape.m) ‘cattivo/cattivi’

‘le cattive rape’

Lo stesso fenomeno si ha nell'alta Val di Fassa, dove però ha preso vie parzialmente diverse e riguarda solo i SN femminili (Chiocchetti 2002/03; Rasom 2006). Dobbiamo distinguere due casi: a) i SN in cui l’aggettivo precede il nome, e b) quelli in cui lo segue. Nel caso (a), prende il morfema del plurale solo il nome (10); l’articolo può stare al plurale, ma soltanto quando sia seguito solo da una forma che non presenti il morfema del plurale: cfr. (11a) vs (11b):

(10) a la ˈbɛla ˈfemena / la ˈbɛla ˈfemenes

(la bella donna) / (la bella donne)

‘la bella donna / le belle donne’

b ˈduta ˈsia ˈrɔbes

(tutta sua cose)

‘tutte le sue cose’

(11) a les ˈtʃiŋk

‘le cinque’

b la ˈdoes

(la due.pl)

‘le due’

Nel caso (b), il morfema del plurale può comparire solo sull’aggettivo postnominale (12a), ma può anche comparire sia sul nome che sull’aggettivo (12b). Nonostante i fatti non siano chiarissimi, le due soluzioni sono tendenzialmente legate a due diverse interpretazioni della realazione tra aggettivo e nome: in (12a) l’aggettivo ha valore restrittivo (le nuvole bianche sono individuate in opposizione a nuvole di altro colore), mentre in (12b) l’aggettivo ha valore descrittivo (c’erano delle nuvole, che tra l’altro avevano la proprietà di essere nere):

(12) a la ˈnigola ˈbjɛntʃes no ˈpɔrta ˈpjevja

(la nuvola bianche non portano pioggia)

‘le nuvole bianche non portano pioggia’

b l ˈera ˈɛntʃe ˈtseke ˈnigoles ˈnɛjgres

(esso era anche qualche nuvole nere)

‘c’erano anche delle nuvole nere’

I SN maschili hanno invece il plurale regolare e tutti i determinanti e gli aggettivi si accordano in posizione prenominale:

(13) l ˈawter ˈmɛjs / i ˈetres ˈmɛjʃ

‘l’altro mese / gli altri mesi’

Diversamente dai dialetti italiani settentrionali, nelle varietà ladine non si usa l’articolo definito davanti al possessivo usato come determinante: mar. [ˈtøa ˈcøːra] ‘la tua capra’, bad. [ˈtya ˈcoːra], gard. [ˈti ˈtʃæwra], fass. [ˈtia ˈtʃawra]; maliv. [la ˈtua ˈtʃowra] (per influsso recente dei dialetti veneti vicini).

In gaderano e gardenese il riferimento generico di un SN plurale si può esprimere con l’articolo definito, come in genere nelle altre lingue romanze, ma anche senza articolo, come nelle lingue germaniche:

(14) (bad.) (i) ˈcaŋs ˈe də ˈboɲ kumˈpaːɲs d la pərˈsona

(i cani sono di buoni amici di la persona)

‘i cani sono buoni amici dell’uomo’

Il ladino non ha sviluppato un articolo partitivo, ma si usa de ‘di’ in SN indeterminati in cui un aggettivo preceda il nome (15) (v. anche [14], sopra), e davanti ad alcuni determinanti (quantificatori, deittici e anaforici) (16); questo de può anche essere preceduto da preposizione (15b)/(16b):

(15) a (fass.) aˈoŋ veˈdu de ˈbie ˈfjores

(abbiamo visto di bei fiori)

‘abbiamo visto dei bei fiori’

b (gard.) tə də ˈpitla ˈgrupəs

(in di piccola gruppi.f)

‘in piccoli gruppi’

(16) a (bad.) ˈsilvia nəz ˈa ˈʃkrit ˈplø ˈlatrəs

(S. ci ha scritto di più lettere)

‘Silvia ci ha scritto più lettere’

b l patiˈmant də d ˈaːtri

(la sofferenza di di altri)

‘la sofferenza di altri’

In gaderano e gardenese il nome preceduto dal numerale ‘uno’ è accompagnato dall’articolo indefinito:

(17) (alto bad.) ˈyna na ˈkoːsa mə ˈpaza

(una.num una.art cosa mi pesa)

‘una (sola) cosa mi pesa’

5.2 Sintagma verbale

Per la scelta dell’ausiliare nei tempi composti valgono le stesse generalizzazioni che in italiano e francese, eccetto nel caso dei verbi accompagnati da un clitico riflessivo. In questi casi l’ausiliare è generalmente ‘avere’ (18)-(19), ma, in alcune varietà, con alcuni verbi (per es. con quelli di movimento) si ha ‘essere’ (20):

(18) a (gard.) s ˈa məˈtu pər ˈʃtreda

(si ha messo per strada)

‘si è messo in cammino’

b s ˈa ʒnuˈdla ˈʒu

(si ha inginocchiato giù)

‘si è inginocchiato’

c s ˈa dəʃˈfat ˈdut

(si ha disfatto tutto)

‘ha scialacquato tutto’

(19) a (fass.) la s ˈa ferˈma

(essa si ha fermato)

‘si è fermata’

b les se ˈa piˈsa ˈfɔra

(esse si hanno pensato fuori)

‘hanno progettato’

c la se ˈa ˈfat konˈtɛr

(essa si ha fatto raccontare)

‘si è fatta raccontare’

(20) (gard.) sə n ˈiə ˈʒit

‘se n’è andato’

L’accordo del participio perfetto con l’oggetto diretto si ha solo con i clitici di 3. persona (Loporcaro 1998: 92f., 147-9), ma in gaderano si fa generalmente solo al f.sg (21a), e non al pl (21b):

(21) a (bad.) i t l ˈa ˈdada

(io te la ho data)

‘te l’ho data’

b al m i ˈa ˈvny

(egli me li ha venduto)

‘me li ha venduti’

Mentre in fassano e livinallese, nella negazione (non enfatica) abbiamo una particella preverbale (22), nelle altre varietà abbiamo normalmente due elementi, uno che precede e l’altro che segue il verbo flesso (23), anche se in alcuni contesti (come quando la negazione è espletiva) è possibile usare la sola particella preverbale (24) (Siller-Runggaldier 1985; Gsell 2002/03; per le varietà italiane settentrionali cfr. Zanuttini 1997):

(22) a (fass.) ˈana no ˈvɛŋ

‘Anna non viene’

b (liv.) la ˈana la no ˈveŋ

(la A. essa non viene)

(23) a (alto bad.) ˈana ˈvaɲ ˈnia

(A. non viene nulla)

b (gard.) ˈana ˈvæŋ ˈnia

(A. non viene nulla)

(24) (gard.) ˈrita ˈlæwra dəˈplu də ˈkæl kə la məˈsæsa

(R. lavora di-più di quello che essa non dovesse)

‘Rita lavora più di quanto (non) dovrebbe’

Con i quantificatori negativi in posizione preverbale, l’uso della particella negativa varia a seconda dei dialetti, indipendentemente dal tipo di negazione normalmente usato (semplice [25] o doppia [26]; v. anche sotto es. [66a]):

(25) a (fass.) neˈʃuɲ ˈa ˈvoa de…

(nessuno.pl hanno voglia di)

‘nessuno ha voglia di…’

b (liv.) deˈguɲ i non ˈa ˈvoja de…

(nessuno.pl essi non hanno voglia di)

(26) a (alto badiotto) dəˈgyɲ ˈa ˈvøja də…

(nessuno.pl hanno voglia di)

b (mar.) deˈgyɲ nen ˈa ˈveja de…

(nessuno.pl non hanno voglia di)

Come frutto di un’evoluzione recente, in gardenese e alto badiotto, la particella preverbale può essere omessa nel parlato spontaneo: gard. [l ˈvæŋ nia] (egli viene nulla) ‘non viene’.

All’imperativo, anche in gaderano e gardenese si può avere negazione solo preverbale (oltre a quella con due elementi), ma con una particella diversa (no invece di ne):

(27) (gard.) no i tuˈkɛ

‘non li toccare!’

Per altri usi delle forme no e nia, cfr. Gallmann/Siller-Runggaldier/Sitta (2013: 149-71).

I clitici non-soggetto sono sempre preverbali, eccetto che all’imperativo affermativo; abbiamo così, per es. in fassano, proclisi con un verbo finito (28a), con l'infinito (28b) e con l’imperativo negativo (28c) (v. anche [27]), enclisi con l’imperativo affermativo (29) (ma oggi in fassano, per influsso trentino, l’enclisi si sta diffondendo anche con l’infinito):

(28) a el m ˈa pitsoˈka

‘(egli) mi ha pizzicato’

b ˈjɛj a me ˈtoner la ˈfɛjdes

(vieni a mi tosare la pecore)

‘vieni a tosarmi le pecore!’

c no te ˈmever

‘non ti muovere!’

(29) ˈʒvete-me la ˈkandola

‘vuotami il secchio!’

Con i semi-ausiliari la salita dei clitici oggi è normale solo in fassano (Casalicchio/Padovan 2016):

(30) a. (liv.) uˈla podaˈrɛ jo l tʃaˈpe ?

(dove potrò io lo trovare)

‘dove potrò trovarlo?’

b. (fas.) oˈla ke l poˈdese troˈɛr ?

(dove che lo potessi trovare)

‘dove lo potrei trovare?’

Nei gruppi di clitici l’ordine è clitico dativo + clitico accusativo/partitivo (31); nelle varietà in cui esiste (fassano, livinallese), il clitico se della costruzione impersonale precede in genere, come nei dialetti veneti, il clitico accusativo (32):

(31) a (fass.) te l ˈdage

‘te lo do’

b ˈda-me-ne

‘dammene!’

(32) la ˈfawtʃ, se la ˈgutsa con la ˈpera

(la falce si la affila con la cote)

‘la falce, la si affila con la cote’

Come in genere nei dialetti italiani settentrionali, l’oggetto indiretto è sempre reduplicato da un clitico dativo:

(33) (gard.) ˈana ti ˈʃiŋka n ˈlibər a ˈsi kumˈpanja

(A. le regala un libro a sua amica)

‘Anna regala un libro alla sua amica’

Le funzioni modali del condizionale sono svolte dall’imperfetto congiuntivo:

(34) (fass.) ˈnos luraˈsane de ˈpju se foˈsane paˈe ˈmjetʃ

(noi lavorassimo di più se fossimo pagati meglio)

‘noi lavoreremmo di più, se fossimo pagati meglio’

Per l’espressione del futuro nel passato si usa l’imperfetto (35a), ma in gaderano, gardenese e fassano si può usare anche il congiuntivo piucchepperfetto (35b); con i verbi che reggono il congiuntivo questo tempo può così indicare sia l’anteriorità, sia la posteriorità (36):

(35) a (gard.) ˈana ˈa ˈdit kə ˈklawdia aŋkunˈtɔva ˈmarko da la ˈtʃiŋk a bulˈsaŋ

(A. ha detto che C. incontrava M. da la cinque a B.)

‘Anna ha detto che Claudia avrebbe incontrato Marco alle cinque a Bolzano’

b …ˈæsa aŋkunˈta

(avesse incontrato)

(36) ˈiə raˈtɔvə kə ˈklawdia ˈæsa ˈʃkrit la ˈlætra

(io credevo che C. avesse scritto la lettera)

‘io credevo che Claudia avesse scritto / avrebbe scritto la lettera’

Caratteristico di gaderano e gardenese è anche un uso molto produttivo della struttura verbo + avverbio, molto diffusa in Italia settentrionale (Cordin 2011), ma ulteriormente sviluppata qui sul modello dei verbi tedeschi con particella avverbiale, di cui le formazioni ladine rappresentano spesso dei calchi (Hack 2011): gard. tò su (prendere su) ‘raccogliere, assumere’ (ted. auf-nehmen), pensé do (pensare dietro) ‘riflettere’ (ted. nach-denken), dì ora (dire fuori) ‘dire fino in fondo, spiattellare’ (ted. aus-sagen), mëter pro (mettere presso) ‘aggiungere’ (ted. zu-setzen); bad. odëi ite (vedere dentro) ‘comprendere’ (ted. ein-sehen), se slarié fora (allargarsi fuori) ‘espandersi’ (ted. sich aus-breiten), tó sö (prendere-su) ‘raccogliere, accogliere, registrare (su nastro, ecc.)’ (ted. auf-nehmen) (queste formazioni non sono estranee neanche a fassano e livinallese, anche se sono molto meno diffuse).

5.3 Struttura della frase

Per quanto riguarda la struttura della frase e, in particolare, l’espressione del soggetto, il ladino si divide in due gruppi nettamente distinti: da una parte abbiamo il fassano e il livinallese, che presentano le stesse strutture dei dialetti italiani settentrionali, dall’altra il gaderano e il gardenese, che per contro presentano una struttura di frase con verbo in seconda posizione simile a quella dei dialetti romanci grigionesi.

Così in fassano e livinallese l’ordine fondamentale dei costituenti è SVX e l’anteposizione di un qualsiasi costituente non provoca l’inversione dell’ordine soggetto-verbo (37); in particolare, se viene anteposto l’oggetto diretto, è obbligatorio un clitico di ripresa (37b); abbiamo inversione solo nelle interrogative e solo con le forme clitiche dei pronomi soggetto (38):

(37) a (fass.) iɱ ˈvea de ˈpɛʃka toˈfɛɲa el paˈtroŋ de ˈtʃɛza ˈva ˈduta la maˈʒoŋ (= XSV…)

(in vigilia di Epifania il padrone di casa va tutta la casa)

‘la vigilia dell’Epifania, il padrone di casa percorre tutta la casa’

b ˈkɛla vaˈlɛnta, ˈsia ˈmɛre no la la poˈdea veˈder (= OSV…)

(quella buona sua madre non essa la poteva vedere)

‘quella buona, sua madre non la poteva vedere’

(38) ˈveʃ-te ˈʒir ˈsu ? (= VScl…)

(vuoi-tu.cl andare su)

‘vuoi salire?’

Come in genere nei dialetti italiani settentrionali (Poletto 1993; Rasom 2003), l’espressione del soggetto non è obbligatoria per quelle persone che non dispongono di un clitico soggetto, cioè 1sg/pl e 2pl (39); lo è invece per quelle persone per le quali questo clitico esiste (2sg, 3sg/pl); ma, mentre alla 2sg il clitico soggetto è sempre espresso (eccetto all’imperativo), anche quando è espresso il pronome soggetto libero (40), alla 3sg/pl il clitico soggetto è obbligatorio solo in assenza di un altro soggetto preverbale (41a); con un soggetto nominale, il clitico è facoltativo, ma con tendenza a diventare obbligatorio (41b):

(39) (fass.) Ø ˈvage ˈbɛŋ ˈɛntʃe ˈsu per ˈkɛla ˈburta

(vado ben anche su per quella brutta)

‘vado ben su anche per quella brutta (di scala)’

(40) ˈtu te ˈpawses

(tu tu.cl riposi)

‘tu riposi’

(41) a la fiˈlɛa

‘(essa.cl) filava’

b ˈʃta ˈpitʃola (l) ˈa ʃkomenˈtsa a preˈɛr

(questa piccina essa.cl ha cominciato a supplicare)

‘questa piccina cominciò a supplicare’

Come in molti dialetti italiani settentrionali, con un soggetto relativizzato il clitico non si usa nelle frasi relative restrittive (42a), ma appare in quelle appositive (42b):

(42) a (liv.) le ˈɑle ke ˈnɑta le ˈʃale, le se n ˈe ˈʒude

(le donne che puliscono le scale esse.cl se ne sono andate)

‘le donne che puliscono le scale sono andate via’

b maˈria, ke la ˈmandʒa ˈpwok, l ˈe ˈgrasa liʃˈteʃo

(Maria che essa.cl mangia poco essa.cl è grassa lo stesso)

‘Maria, che mangia poco, è grassa lo stesso’

In caso di due o più verbi congiunti, il clitico soggetto deve essere ripetuto con ogni verbo:

(43) (fass.) la s ˈa ferˈma e la ˈe ˈʒita ˈite

(essa.cl si ha fermato e essa.cl è andata dentro)

‘si è fermata ed è entrata’

Con un soggetto dislocato a destra (44a) o focalizzato in posizione postverbale (44b), abbiamo un clitico soggetto preverbale accordato con il soggetto lessicale:

(44) a (fass.) la ˈdiʃ, ˈkeʃta ˈpitʃola

‘(essa.cl) dice, questa piccina’

b la ˈe ˈʒita ˈɛntʃe ˈɛla

‘(essa.cl) è andata anche lei’

Nelle strutture presentative non abbiamo clitico soggetto (45a); ma un clitico soggetto espletivo (formalmente maschile singolare) appare in quei casi in cui abbiamo un ausiliare con iniziale vocalica (45b) e non c’è nessun altro clitico preverbale (cfr. [45c]), e sempre quando c’è inversione (45d); in questa costruzione il verbo è accordato al m.sg (v. [45b], e sotto [47b] e [58a]):

(45) a (fass.) ˈrua la ˈmama

‘arriva la mamma’

b l ˈe ruˈa la ˈmama

(esso.cl è arrivato la mamma)

‘è arrivata la mamma’

c i ˈe ʃamˈpa el ˈfus

‘le è sfuggito il fuso’

d ˈrue-l la ˈmama ?

(arriva-esso.cl la mamma)

‘arriva la mamma?’

Come nei dialetti italiani settentrionali vicini, il clitico soggetto segue normalmente la particella negativa (46); solo in alcune varietà alto-fassane e livinallesi il clitico di 3sg/pl può stare anche prima della negazione (47a) (e sopra [25b]), ma non se si tratta dell’espletivo (47b):

(46) (fass.) se no te ˈfoses veˈɲu da ˈme …

(se non tu.cl fossi venuto da me)

‘se non fossi venuto da me…’

(47) a no l / l no ˈa ˈdit oˈla ke l ˈva

(non egli.cl/egli.cl non ha detto dove che egli.cl va)

‘non ha detto dove va’

b no l ˈe ˈʃtat konˈtʃa i tʃuˈtse

(non esso.cl è stato aggiustato le scarpe)

‘non sono state aggiustate le scarpe’

Nelle frasi interrogative, come abbiamo visto, in fassano con i soggetti clitici si ha l’inversione soggetto verbo (v. [38], sopra; Siller-Runggaldier 1993), facoltativamente accompagnata dalla particella interrogativa pa. Nelle interrogative parziali la costruzione con inversione (48a) alterna oggi con una costruzione introdotta da ke ‘che’, senza inversione e senza pa (48b), che corrisponde alla struttura delle interrogative subordinate (v. es. [47a]; cfr. Chiocchetti 1992, Hack 2012, e per le varietà italiane settentrionali Poletto/Vanelli 1995):

(48) a ˈtant de ˈlat ˈɛ-la pa ?

(tanto di latte ha-essa.cl q)

‘quanto latte dà?’

b ˈtant de ˈlat ke la ˈfɛʃ ?

(tanto di latte che essa.cl fa)

Gaderano e gardenese possono essere descritti come lingue con verbo in seconda posizione, caratterizzate da una (parziale) asimmetria tra l’ordine delle parole nella principale e quello delle subordinate: mentre infatti nelle frasi subordinate l’ordine delle parole è normalmente SVX, nelle principali è possibile anteporre un qualsiasi costituente in posizione immediatamente preverbale; questa anteposizione provoca l’inversione soggetto-verbo finito, sia con i soggetti pronominali (49a)/(50) che con i soggetti lessicali (49b) (ma con limitazioni in alcuni dialetti; cfr. Valentin 1998/99, Casalicchio/Cognola 2018); in particolare, se l’elemento anteposto è l’oggetto diretto (con funzione di topic), diversamente che in fassano e livinallese (v. [37b], sopra), non compare clitico di ripresa (50) (ma v. anche più sotto):

(49) a (gard.) iˈlo ˈa-l ʃkumənˈtʃa a məˈne na ˈʃtleta ˈvita (= XAuxSVptcp…)

‘lì ha(-egli.cl) cominciato a condurre una cattiva vita’

b ˈkæʃt ˈan ˈiə naˈdel də ˈʒuəbja (= XVS.…)

(quest’anno è Natale di giovedì)

‘quest’anno Natale è di giovedì’

(50) ˈkæla ˈe-i puˈdu mə kumˈpre dan ˈtræj ˈani (= OAuxSVptcp…)

(quella ho-io.cl potuto mi comprare davanti tre anni)

‘quella, ho potuto comprarmela tre anni fa’

Il sistema V2 è tipico delle frasi principali, ma si può usare anche in alcuni tipi di subordinate (ma non nelle relative e nelle interrogative indirette).

In mancanza di documentazione è difficile decidere se il sistema V2 di queste varietà sia dovuto a un influsso delle varietà germaniche (tedesco e dialetti tirolesi) a contatto, come si è ritenuto tradizionalmente, o sia una conservazione del sistema V2 delle lingue romanze antiche, eventualmente favorita dal contatto linguistico (Benincà 1994: cap. 4). Il V2 ladino è in ogni caso differente sia da quello tedesco (che nelle subordinate ha il verbo in posizione finale), sia da quello romanzo antico, rispetto al quale è più rigido, non permettendo i vari tipi di dislocazione a sinistra che quello permetteva (Benincà 2006). Analogie più marcate sono riscontrabili con il sistema V2 del romancio grigionese, anche se sarebbero necessari studi comparativi più approfonditi.

Il verbo può occupare anche la prima posizione nell’ordine lineare: questo accade regolarmente nelle domande totali (51a) e tutte le volte che il soggetto preverbale rimane non espresso (51b): infatti, come nei dialetti dell’altro gruppo, l’espressione del soggetto preverbale non è obbligatoria in quei casi in cui non esista un clitico soggetto (v. Tabella 3):

(51) a (gard.) ˈʃkriʃ pa maˈria na ˈlætra ? (= VqS…)

(scrive q M. una lettera)

‘Maria (sta) scrive(ndo) una lettera?’

b ˈe ˈpja ŋ paˈvæl (= V…)

‘ho preso una farfalla’

Inoltre, nel caso di due o più verbi congiunti che abbiano lo stesso soggetto, normalmente il soggetto (anche se clitico) non viene ripetuto:

(52) a (gard.) l ˈplu ˈʒæwn ˈva ŋ ˈdi da ˈsi ˈpɛrə i Ø ˈdiʃ

‘il (figlio) più giovane va un giorno da suo padre e dice’

b finalˈmæntər ˈiə-l ˈʒit da uŋ ˈpawr i Ø l ˈa pəˈtla

‘infine è(-egli.cl) andato da un contadino e l’ha supplicato’

A parte il caso delle frasi congiunte, l’espressione del soggetto preverbale è obbligatoria se esiste un clitico soggetto (53a); il clitico soggetto non è però mai espresso se il verbo è preceduto da un qualsiasi altro soggetto (53b); in alto badiotto, tuttavia, il pronome soggetto libero di 2sg è accompagnato dal rispettivo clitico (53c):

(53) a (gard.) l ˈa aˈbu ˈsi arpəˈʒoŋ

(egli.cl ha avuto sua eredità)

‘ha avuto la sua eredità’

b l ˈplu ˈʒæwn (**l) ˈva ŋ ˈdi da ˈsi ˈpɛrə

(il più giovane egli.cl va un giorno da suo padre)

‘il (figlio) minore va un giorno da suo padre’

c (bad.) ˈtø t ˈcantes

‘tu (tu.cl) canti’

Il clitico soggetto precede la negazione:

(54) (gard.) tə nə ˈfɔvəs nia iˈlo

(tu.cl non eri nulla là)

‘non eri là’

Per il caso del soggetto postverbale vale la stessa generalizzazione: la sua espressione è obbligatoria se esiste una forma enclitica (55a), non obbligatoria se questa forma non esiste (55b) (in badiotto il pronome soggetto enclitico è facoltativo alla 2sg); inoltre, diversamente che in posizione preverbale, un soggetto pieno postverbale può essere accompagnato da un pronome soggetto enclitico (Valentin 1998/99, Salvi 2003): in gardenese questo avviene solo con i soggetti pronominali (56a), mentre con i soggetti nominali il clitico non c’è (56b), mentre in badiotto la reduplicazione è possibile anche con i soggetti nominali (56c):

(55) a (gard.) ˈkæʃt kərˈdɔv-i pərˈdu

(questo credevo-io.cl perso)

‘questo (figlio), lo credevo perso’

b ˈzæŋ faˈʒæjs na ˈtel ˈfeʃta

‘ora fate una tal festa’

(56) a duˈmaŋ ˈva-l ˈæl da l duˈtor da i ˈdænts

(domani va-egli.cl lui da il dottore da i denti)

‘domani lui va dal dentista’

b ˈdlondʒa ˈruf ˈmæt(**-ələs) la muˈtaŋs ˈdoj ˈbantʃ

(vicino ruscello mettono esse.cl la bambine due banchi)

‘vicino al ruscello le bambine mettono due banchi’

c (bad.) iˈniːr ti ˈa-i damaˈnɛ ˈsy kumˈpaːɲs ʃ al ˈes ˈvøja da ˈʒi imˈpara a l ˈmɛːr

(ieri gli hanno-essi.cl domandato suoi compagni se egli.cl avesse voglia di andare insieme a il mare)

‘Ieri i suoi compagni gli hanno chiesto se avesse voglia di andare con loro al mare’

Nelle frasi presentative compare sempre un soggetto espletivo clitico, in posizione preverbale (57a) o, nei casi che richiedono inversione, in posizione postverbale (57b) (v. anche sotto [58a]; cfr. Siller-Runggaldier 2012):

(57) a (gard.) l ˈa kərˈda ˈsu ˈduta la muˈtaŋs

(esso.cl ha chiamato su tutta la ragazze)

‘hanno telefonato tutte le ragazze’

b ˈŋkwæj ˈa-l kərˈda ˈsu ˈduta la muˈtaŋs

(oggi ha-esso.cl chiamato su tutta la ragazze)

‘oggi hanno telefonato tutte le ragazze’

Nei casi in cui le altre lingue romanze (con il fassano e il livinallese) usano, per topicalizzare un costituente, la dislocazione a sinistra, con eventuale ripresa clitica (v. sopra [37b]), gaderano e gardenese usano, come abbiamo visto, la posizione immediatamente preverbale, sempre senza ripresa clitica (v. sopra [50]). Questo vale anche nel caso in cui la topicalizzazione riguardi solo una parte di un costituente, come mostra il fatto che, negli ess. seguenti, abbiamo inversione:

(58) a (gard.) lawˈrantʃ nən ˈiə-l ˈʃtat ˈtruəps kə lawˈrɔva tə ˈkæʃta ˈfrabika

(operai ne è-esso.cl stato molti che lavoravano in questa fabbrica) ‘di operai, ce ne sono stati molti che lavoravano in questa fabbrica’

b ˈlibri nən ˈa-l ˈliət ˈpuətʃ

(libri ne ha-egli.cl letto pochi)

‘libri, ne ha letti pochi’

Si noti che, quando abbiamo quantificazione partitiva, come in (58), l’anteposizione del nome è sempre accompagnata, come in italiano e in francese, dalla presenza del clitico partitivo (n(en)).

La dislocazione a sinistra con clitico è tuttavia possibile in alcuni casi limitati, per es. nelle interrogative (Casalicchio/Cognola 2018):

(59) (bad.) l ˈlibər, ˈke l ˈtɔl pa ?

(il libro chi lo prende q)

‘il libro, chi lo prende?’

In tutte le varietà l’ausiliare del passivo è ‘venire’ (60a). Nei tempi composti in fassano e livinallese, come in italiano, si usa ‘essere’ (60b) (ma si noti la possibile mancanza di accordo nel participio dell’ausiliare); in gaderano e gardenese, invece, si usa sempre ‘venire’ (60c):

(60) a (fass.) i veˈɲia ˈketʃ te l ˈɛga

(essi venivano cotti in l’acqua)

‘venivano cotti nell’acqua’

b ˈnoʃa veˈʒina ˈe ˈʃtat(a) morˈduda

(nostra vicina è stato/-a morsa)

‘la nostra vicina è stata morsa’

c (gard.) la ˈbeʃ ˈiə uˈnida laˈveda

(la biancheria è venuta lavata)

‘i panni sono stati lavati’

Gaderano e gardenese ammettono anche il passivo dei verbi intransitivi, con valore impersonale (costruzione possibile in maniera più ridotta anche in fassano):

(61) (gard.) l ˈiə uˈni baˈla ˈduta ˈnuət

(esso è venuto ballato tutta notte)

‘si è ballato tutta la notte’

Sempre in gaderano e gardenese si usano ampiamente particelle modalizzanti. Oltre a pa, che è obbligatorio nelle interrogative parziali (mentre in fassano è facoltativo), abbiamo in badiotto anche ma, mo e , che, come anche pa, possono tutte comparire per es. nelle frasi iussive, con diversi valori (Poletto/Zanuttini 2003): ma segnala il punto di vista dell’ascoltatore (62a), mo il punto di vista del parlante (62b), un contrasto rispetto a un’aspettativa (62c), pa la focalizzazione dell’ordine (62d); possono anche ricorrere più particelle insieme (62e):

(62) a (bad.) ˈtɛ-tə ma n ˈde də vaˈkantsa !

‘prenditi (ma) un giorno di vacanza!’

b putsˈnajə-mə mo ˈinc i calˈtsa !

‘puliscimi (mo) anche le scarpe!’

c ˈmandʒə-l kə ʃə ˈnɔ ˈvaɲ-əl ˈfrajt !

(mangia-lo che se no viene-egli freddo)

‘mangialo che se no diventa freddo!’

d faˈʒe-l pa dəsiˈgy !

(fate-lo pa sicuramente)

‘fatelo senz’altro!’

e (non stare alzata ad aspettare che lui venga a casa)

ˈvaː-tə-ŋ pa a durˈmi !

(va-tte-ne pa pö a dormire)

‘va pure a dormire!’

5.4 Subordinazione

Gaderano e gardenese si distinguono da fassano e livinallese (e dalle altre varietà italiane settentrionali) per l’uso del gerundio (63), invece che dell’infinito (64a) o di a + infinito (64b), nella costruzione con i verbi percettivi (Casalicchio 2011):

(63) a (gard.) ˈntaŋ i ˈprims ˈani də ˈvita ˈɔva ˈdʒina ˈdoŋka ˈme awˈdi rujəˈnaŋ tuˈdæʃk (durante i primi anni di vita aveva G. dunque solo sentito parlando tedesco)

‘durante i primi anni di vita Gina aveva dunque sentito parlare solo tedesco’

b ŋ ˈdi ˈa-l awˈdi la ˈuʃ də ˈdio ti diˈʒaŋ

(un giorno ha-egli udito la voce di dio gli dicendo)

‘un giorno udì la voce di Dio dirgli…’

(64) a (basso fass.) l ˈa veˈdu veˈɲir el ˈmago

‘egli ha visto venire il mago’

b (liv.) l senˈtiva a soˈne le tʃamˈpane

(egli sentiva a suonare le campane)

‘sentiva suonare le campane’

La costruzione fattitiva è nelle grandi linee simile a quella di italiano e francese (per es. nel fatto che il soggetto lessicale di un infinito transitivo si può esprimere sia con l’oggetto indiretto [65b], sia con il complemento d’agente [65c]), ma gaderano e gardenese si distinguono dal tipo generale romanzo perché la fattitività si può esprimere anche, come in tedesco, con ‘lasciare’: mentre con ‘fare’ si esprime il conseguimento di un risultato (65b), con ‘lasciare’ si esprime piuttosto la motivazione ad agire ottenuta in genere con un atto linguistico, oltre che, come nelle altre lingue romanze, il permesso (65a,c) (Iliescu 1997):

(65) a (gard.) la maˈeʃtra ˈa laˈʃa pawˈse i muˈtoŋs

(la maestra ha lasciato riposare i bambini)

‘la maestra ha fatto/lasciato riposare i bambini (= ha detto ai bambini che dovevano/potevano riposare)’

b la maˈeʃtra ti ˈa ˈfat ˈʃkri na ˈlætra a i muˈtoŋs

(la maestra gli ha fatto scrivere una lettera a i bambini)

‘la maestra ha fatto scrivere una lettera ai bambini (= ha ottenuto che i bambini scrivessero una lettera)’

c la maˈeʃtra ˈlaʃa ˈljæʒər la ˈʃtɔrja da ŋ ʃkuˈle

(la maestra lascia leggere la storia da uno scolaro)

‘la maestra fa/lascia leggere la storia da uno scolaro (= dice a uno scolaro che deve/può leggere la storia)’

In fassano e livinallese le frasi relative sono costruite come in genere nei dialetti italiani settentrionali: sono tutte introdotte dal complementatore ke ‘che’, e la funzione dell’elemento relativizzato può essere espressa o meno da un clitico, se questo clitico esiste, come nel caso della relativizzazione del soggetto, vista in (42), sopra, o in quella dell’oggetto diretto (66), con differenziazione tra relative restrittive (66a) e appositive (66b); negli altri casi l’ elemento relativizzato rimane inespresso (67):

(66) a (fass.) ˈkel ke l eʃpoziˈtsjon vel moˈʃɛr

‘quello che l’esposizione vuole mostrare’

b un foreʃˈtjer ke neˈʃuɲ no l koɲoˈʃea

(un forestiero che nessuno non lo conosceva)

‘un forestiero che nessuno conosceva’

(67) te ˈki loˈkali ke l ˈe ˈite ˈʒɛnt

(in quei locali che esso è dentro gente)

‘in quei locali in cui c’è gente’

In badiotto e gardenese le relative su soggetto (68a) e oggetto diretto (68b) sono introdotte da ke, sempre senza clitici, mentre in marebbano abbiamo due introduttori diversi: ko per le relative sul soggetto (69a) e ke per quelle sull’oggetto diretto (69b):

(68) a (gard.) daˈʒæ-mə la ˈpɛrt mə ˈtoka !

‘datemi la parte che mi spetta!’

b ˈdut ˈkæl m ˈæjs kumanˈda

‘tutto quello che mi avete comandato’

(69) a (mar.) ˈkɛl ˈɛl ko ne salyˈdaː ˈɲaŋka

‘quell’uomo che non salutava nemmeno’

b ˈkɛl ke i ˈaː koɲeˈʃy

‘quello che (io) avevo conosciuto’

Nel caso di un costituente introdotto da preposizione, in queste varietà si usa il dimostrativo di distanza ‘quello’ seguito da ke, con probabile calco di strutture tedesche dialettali in cui il pronome relativo, formalmente uguale al dimostrativo, è seguito da un elemento invariabile del tipo wo o was (Gallmann/Siller-Runggaldier/Sitta 2010: § 196):

(70) a (bad.) ˈdɔː la məˈzyra kuŋ ˈkala kə ˈos məzuˈreːs e parˈtiːs ˈfɔːra,

(dietro la misura con quella che voi misurate e dividete fuori

sə ɲaˈraː-l parˈti ˈfɔːra a ˈos

vi verrà-esso diviso fuori a voi)

‘secondo la misura con cui voi misurate e spartite, si distribuirà a voi’

b (gard.) la ˈpluəja ˈkontra ˈkæla k ˈe brunˈtla, m ˈa salˈva ˈrɔba i ˈvita

(la pioggia contro quella che ho brontolato mi ha salvato roba e vita)

‘la pioggia contro cui ho brontolato, mi ha salvato i beni e la vita’

Le relative senza antecedente hanno la stessa struttura delle interrogative subordinate (v. sopra [47a]) e sono introdotte da un pronome interrogativo seguito da ke:

(71) a (alto bad.) ˈke kə ˈa uˈradləs da alˈdi, ˈaːldes!

(chi che ha orecchie da udire oda)

‘chi ha orecchie per intendere, intenda!’

b (fass.) paˈa-me ˈke ke me reʃˈtɛde !

(pagate-mi che.wh che mi dovete)

‘pagatemi quanto mi dovete!’

Bibliografia

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1 c può anche essere realizzato come un’affricata, ma più arretrata rispetto a tʃ.

2 Nelle trascrizioni i clitici saranno scritti per chiarezza sempre come parole separate, eccetto i casi in cui l’aggiunta di un enclitico comporta un cambiamento fonologico nella parola ospite, nel qual caso si userà un trattino.

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Pubblicato il: Martedì, 26 Novembre 2019 - Ultima modifica: Venerdì, 29 Novembre 2019
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