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Stefano Talamini - Fiorum. Poesie zoldane, pagine 71 con illustrazioni di Sara Casal, Etabeta – Lesmo 2019.

Pare che il 2019 sia l'anno della poesia zoldana. A fianco di Incant che le caure le đia a fasùoi di Renato Mosena dal Poont e Pi brosa che poesia di Massimo Mosena Noni, raccolte curate dall'Istituto Ladin de la Dolomites, al mosaico della letteratura contemporanea in zoldano si allinea anche il significativo tassello di Fiorùm, antologia di versi di Stefano Talamini Roa, preziosamente accompagnata e spiegata dalle opere artistiche di Sara Casal Vaina.

Talamini ha collaborato con l'Istituto, nel 2016 ha vinto il primo premio al concorso letterario Thubiana la se vieste de poesia, ha partecipato e ottenuto segnalazioni in vari altri concorsi; Casal insegna, dipinge, scolpisce, scrive in prosa e in versi. Sono due figli della terra zoldana aggrappati alle proprie radici, che si pongono in prima linea nel proteggerle, utilizzando l'idioma nativo e i pennelli per raccontare e divulgare emozioni, gioie, nostalgie e sentimenti.

L'antologia contiene una trentina di componimenti, alcuni dei quali icastici, quasi come haiku giapponesi. Stefano è un autore classico, che ama le rime: i suoi versi sono perlopiù dedicati alla terra d'origine, alla quale è legato da un profondo sentimento; alle suggestioni esercitate dal volgere delle stagioni; alle emozioni che sorgono davanti alla potenza dei temporali, alla dolcezza dei fiori, all'infinito del cielo e delle nuvole; alla pace infusa dalla purezza dei boschi e della neve e dall'incanto delle notti stellate; allo smarrimento di fronte alla muta imponenza dei monti; al ricordo di valligiani (vedi Come na croda dedicata a Monica Campo Bagatin, … icona dell'indomabile lottatrice per la vita anche nel contesto più avverso (come la definì Domenico Sagui Pascalin).

Gioie, nostalgie, rimpianti, solitudini, speranze: nel mosaico espressivo di Talamini si accavallano frammenti di vita ricorrenti nella poesia universale, che nelle sue composizioni toccano accenti di notevole spessore e commozione. Sfogliando la raccolta, chi scrive è stato colpito, tra le tante, dalla poesia Negranòt: L era la negranòt. / Inte l bosch no i cantava pi i užiai. / Se aveva scufà du anca le dasse. / No l era gnanca an fià de ciàr de luna. / L era la negranòt / incànt che ai cognossù na bela stéla, nella quale si è ritrovato direttamente, poiché riecheggia pensieri già pensati, scritti nella gioventù, in una tormentosa fase della propria vita.

Concludiamo con le immagini evocate da Fiorùm, che dà il titolo alla silloge evocando un prodotto ormai svanito dalla nostra quotidianità, il seme del fieno che si stacca dagli steli e si sparge sul pavimento del fienile, simbolo di leggerezza, di evanescenza, di passaggio: Noi se proón a scrie / cheste parole / senẑa saé / chel che le dis / a chi che lìeẑ / e chel che resta / o che no resta / dapó / inte l cuar.

È l'arduo compito dei poeti, che compongono senza prevedere ciò che le parole potranno suscitare nel cuore di coloro che leggono, e quanto rimarrà o svanirà dal loro animo. Siamo pienamente convinti che, a chi si immergerà nel mondo di Stefano accompagnandosi con le delicate e fantasiose immagini di Sara, dalla lettura di Fiorùm qualche cosa rimarrà certamente dentro: almeno un viatico per affrontare con maggiore leggerezza e disincanto alcuni momenti della vita.

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Pubblicato il: Martedì, 26 Novembre 2019
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